Salario minimo, un effetto domino per famiglie e lavoro domestico

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Possono aumentare i rapporti irregolari. Penalizzate le donne. Le proposte di Nuova Collaborazione per una fiscalità diversa.

S tiamo entrando in un autunno particolarmente delicato. E non solo perché l’incertezza – nazionale e internazionale – sta diventando una costante con cui convivere. Le turbolenze dell’economia si stanno facendo sentire in maniera più marcata, tra inflazione e aumento dei tassi. E la discussione politica della manovra 2024 con la legge di bilancio che deve mettere a punto il Governo Meloni farà emergere molti nodi al pettine. Uno di questi – proprio mentre il nostro settore è impegnato nella trattativa con i sindacati per il rinnovo del Contratto collettivo nazionale – riguarda la questione del salario minimo.

Sul punto noi esprimiamo una forte preoccupazione. Il salario minimo non può venire affrontato dalle famiglie italiane datrici di lavoro domestico, che già sono alle prese con l’aumento dei prezzi e spesso lasciate sole – dal nostro sistema di welfare – nell’assistenza ai nostri anziani, in grande maggioranza non autosufficienti, e ai nostri figli in minore età. Per chi – con responsabilità civica – si accolla l’onere di una assunzione regolare, l’introduzione del salario minimo proposto a nove euro all’ora non è sostenibile.

È presto detto. I calcoli dicono che una badante convivente con orario fino a 54 ore settimanali, ove venissero disattese le statuizioni del CCNL sul punto, verrebbe a costare alla famiglia oltre 2.100 euro al mese, oltre a vitto, alloggio e versamenti contributivi. E una babysitter per un bambino al di sotto dei sei
anni con un orario lungo di 40 ore a settimana supererebbe i 1.650 euro al mese. Ora, questo ragionamento non significa che siamo disattenti alle necessità dei lavoratori, come peraltro dimostra quanto stiamo da tempo facendo – insieme anche alle altre datoriali – con la sanità integrativa di Cassacolf, la formazione e la qualificazione del personale.

Il punto vero è la famiglia, da sempre fanalino di coda nelle misure di sostegno da parte dello Stato.

Con l’enorme problema demografico della denatalità, la strada sarà sempre più in salita, perché avremo nelle nostre case sempre più anziani di cui occuparci. Se prendesse il via a queste condizioni il salario minimo, s’innescherebbe un effetto domino dannoso per la nostra società. Nell’attività di cura – oggi si usa il termine “caregiver” – verrebbero presumibilmente coinvolte di più le donne, costrette ad abbandonare un lavoro o la professione. E, soprattutto, s’innescherebbe un ritorno al lavoro irregolare, con effetti negativi sull’economia, sul gettito fiscale e, non ultimo, sulla sicurezza sia dei lavoratori sia degli assistiti.

Deve cambiare lo scenario, e radicalmente, perché si possa pensare a un salario minimo nel lavoro domestico a nove euro. In particolare, va completamente mutata la fiscalità che, con le regole attuali, penalizza non poco la famiglia.

È il motivo per cui ci siamo impegnati con i ricercatori del Centro Einaudi di Torino a esaminare la situazione e avanzare delle proposte al Governo; in giugno al convegno organizzato a Roma con l’Inps
per la presentazione dell’Osservatorio 2023 lo abbiamo già anticipato al ministro del Lavoro Marina Calderone. In novembre presenteremo lo studio, al quale daremo poi la massima diffusione. Bisogna individuare delle strade percorribili, che abbiano cioè una copertura economica intelligente da parte delle istituzioni, perché le famiglie non siano lasciate sole.

Se lo Stato non investe sulla famiglia non ha futuro: per questo abbiamo intensificato l’impegno e
la collaborazione con tutti quei settori della società civile in campo per trovare formule adeguate e condivise per il sostegno della natalità e della non autosufficienza.

[Avv. Alfredo Savia – Presidente Nuova Collaborazione, Mondo Domestico settembre 2023]

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